Abbiamo bisogno di affrontare non solo il modo in cui il mondo produce cibo, ma come viene distribuito, venduto, consumato, riciclato ed abbiamo bisogno di una rivoluzione che può aumentare le rese, lavorando con e non contro natura.
[Achim Steiner S.Segretario Gen.UNEP]

    IL PROGETTO
Nonostante le enormi difficoltà, dovute spesso ad una “filiera di rifiuti” difficile da sradicare poiché strutturata per generare enormi interessi economici distribuiti a pochi gestori, (discariche, inceneritori, trasporti, stoccaggi…), si sta cercando di voltare pagina ed implementare un ciclo di smaltimento di rifiuti che sia meno costoso e più sostenibile dal punto di vista ambientale. La modalità più seguita, per via del ridotto utilizzo di risorse e, di conseguenza, più rispettosa e sostenibile per l’ambiente, è quella del riciclo e del riuso. Carta, plastica, metalli, legno, rifiuti organici, avranno “nuova vita” e non vi sarà la necessità di incenerire né di interrare rifiuti in discariche. In associazione alla tecnica del riciclo, occorre però implementare strategie volte alla riduzione dei rifiuti, a partire dalla riduzione drastica degli imballi per la distribuzione di prodotti ed alimenti e che spesso costituiscono fino al 500% del prodotto principale in peso e o in volume, e dal loro riuso. Fortunatamente, per le tipologie più comuni di rifiuti si è arrivati ad una buona percentuale di riciclo ma lo stesso non si può certo dire per i rifiuti di origine organica.

L’enorme quantitativo di produzione di alimenti, e, di conseguenza, di rifiuti, è sconcertante. E’ stato stimato che l’intera popolazione mondiale potrebbe facilmente essere alimentata se gli agricoltori, le imprese ed i governi, semplicemente intensificassero gli sforzi per ridurre i rifiuti alimentari che continuano ad avere valore commerciale negativo, un costo di smaltimento elevato, un impatto ambientale non più sostenibile e, soprattutto, uno spreco di risorse.
Ai rifiuti organici alimentari prodotti a valle, derivati essenzialmente dalla frazione organica della raccolta differenziata urbana, si aggiungono, i fanghi derivati dalla depurazione delle acque reflue, i reflui non trattati delle filiere zootecniche, le derrate alimentari non più consumabili e, più in generale, gli scarti di produzione delle filiere agroalimentari. Una quantità enorme di rifiuti che potrebbe essere trasformata. Il problema riguarda l’intero pianeta, solo il 25% dei rifiuti organici viene riutilizzato attraverso lunghi e costosi processi di trattamento (disidratazione, compostaggio aerobico e o anaerobico, produzione di biogas…), che non sono esenti da inquinamento e da scarti di produzione inutilizzabili, destinati comunque a riempire le discariche.

I costi di costruzione poi, di gestione ed i bassi margini di redditività di questa tipologia di impianti, ne ostacolano la costruzione, tanto che la loro diffusione nel territorio è modestissima ed i produttori di rifiuti organici sono costretti ad accollarsi ulteriori costi di trasporto fino al sito di trattamento più vicino, spesso distante centinaia di chilometri, producendo ulteriore inquinamento. Spesso, la distanza del sito di trasformazione scoraggia i produttori a conferire i rifiuti, tanto che i gestori di questi grandi impianti, che già scontano un forte impatto ambientale, sono costretti ad inserire nei digestori grandi quantità di mais quando le quantità ricevute sono insufficienti a far “partire” il ciclo di trasformazione. E’ paradossale ed insensato anche dal un punto di vista etico, ma vi sono impianti che consumano in prevalenza mais e per un mais che non si mangia e che consuma uno sproposito d’acqua, si ricorrerà ad un uso dissennato di fertilizzanti e antiparassitari, inquinando e minando ancor di più la fertilità dei terreni.
Ecco che diventa necessario pensare a sistemi alternativi per il riutilizzo dei rifiuti organici, sistemi naturali e puliti esistenti in natura. Sistemi e processi non più di trattamento ma di bioconversione, che generano altri sottoprodotti senza alcun impatto sull’ambiente, senza l’utilizzo di discariche né di altri sistemi di smaltimento e con una congrua ricaduta in termini occupazionali, specie per le fasce più deboli.

    BIOCONVERSIONE

Uno di questi sistemi naturali di bioconversione, oggetto di studio da parte di numerose Università, soprattutto asiatiche, è quello svolto in natura da ditteri saprofagi. Un sistema ancora in uso in alcune regioni del pianeta. Tutto ciò che non si consuma, viene posto in una fossa di rifiuti per consentire a numerosi animali ed insetti di trasformare efficacemente la matrice organica in nutrienti utilizzabili per altri animali di ordine superiore. L’idea sviluppata con il supporto successivo di varie Università, è stata quella di mettere a punto un modello produttivo standard e modulare per quantità e qualità, superando così lo stallo in cui si trovano tutti coloro i quali hanno iniziato e concluso gli studi, senza riuscire però a mettere a punto un sistema industriale funzionante, limitandosi a constatare che il dittero allo stadio larvale è in grado di bioconvertire notevoli masse di rifiuti organici.
Il processo modulare, è in grado di bioconvertire qualsiasi matrice organica, sia essa costituita da umido/organico proveniente dalla raccolta differenziata urbana, scarti di produzione delle filiere agroalimentari e zootecniche, derrate alimentari non più consumabili provenienti dai mercati, supermercati, negozi  di ortofrutta, scarti di ristoranti, mense e comunità, sottoprodotti di origine animale da macellerie, pollerie, pescherie, attraverso l’utilizzo di ditteri saprofagi allo stadio larvale. Seguendo il dittero nel suo ciclo, applicando alcuni accorgimenti essenziali dopo lunghe e particolari osservazioni su come adoperarsi per industrializzare il processo naturale, si è giunti dopo 5 intensi anni di test, alla costruzione di un vero e proprio impianto di bioconversione. L’impianto non più in scala ridotta ma progettato per la bioconversione di 10 tonnellate al giorno di rifiuti organici, ci ha consentito nei 12 mesi in cui è stato attivo, di testare ancora e verificare le criticità dovute soprattutto alla gestione di grandi quantità di rifiuti in ingresso e del numero di larve a “lavoro”, 150 milioni al giorno. Pochissime sono state le variazioni al progetto iniziale e quasi tutte nel tipo e nel dimensionamento di attrezzature e macchinari oltre che un’area di essiccamento solare a supporto dell’impianto. Il tutto senza scarti di produzione, senza emissioni in atmosfera e senza sfruttamento ulteriore di risorse, in modo naturale ed ecologico, in assoluta sostenibilità ambientale.

    L’IMPIANTO

L’impianto è strutturato per tre diversi processi, (bioconversione larvale, essiccamento solare e aerobico accelerato) modulare per qualità e quantità, con costi di investimento modesti se paragonati ai costi iniziali necessari ad altre tipologie di impianti. Necessita di autorizzazione al trattamento dei rifiuti compostabili, semplificata o ordinaria. L’iter per il rilascio dell’autorizzazione in sostanza riguarda la capacità dell’impianto a recuperare i rifiuti con processi idonei, in sicurezza e che non comporti rischi per l’uomo, l’acqua, l’aria il suolo, la flora e la fauna nonché inconvenienti causati da rumori o emissioni odorigene oltre i limiti previsti. Per processare fino a 10 tonnellate al giorno di rifiuti organici, l’impianto necessita di un’area complessiva variabile tra i 13 mila ed i 20 mila metri quadri, anche in vista di espansione con aree chiuse per complessivi 1500-2000 mq. L’essiccamento solare legato ai processi di bioconversione larvale e aerobico accelerato provvederà ad eliminare ogni matrice di scarto non bioconvertibile al fine di generare combustibile solido. Dalla trasformazione e bioconversione dei rifiuti l’impianto darà origine a sottoprodotti di elevata qualità, (farine, materie prime per la mangimistica, compost biologico, combustibile solido…) e non genererà scarti di produzione. Un impianto da 10 ton/gg, è sufficiente a soddisfare i conferimenti di FORSU prodotti da un bacino di 30 mila abitanti. Ha costi d’investimento accessibili e soprattutto costi di gestione contenuti tanto che l’investimento iniziale sarà ammortizzato in meno di tre di attività. I costi di gestione saranno abbondantemente recuperati con i ricavi dei soli conferimenti a cui si aggiungeranno i ricavi dalla commercializzazione dei sottoprodotti generati. Un impianto economico in un contesto di assoluta sostenibilità ambientale, remunerativo e con una congrua ricaduta in termini occupazionali, specie per le fasce più deboli.

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